Metro C fino a Ottaviano con il Metodo MetroxRoma

Linea C il “modello MetroXRoma” per arrivare a Ottaviano. Come gli ascensori salveranno le stazioni del centro storico

Guardando alle nuove linee di metropolitana di Barcellona, la L9 e L10, abbiamo trovato ispirazione per il modello costruttivo della tratta T2 (Fori Imperiali – Ottaviano) che potrebbe sbrogliare la matassa di vincoli e prescrizioni che hanno affondato la sostenibilità e utilità della tratta. Le difficoltà di realizzazione di un tracciato che sottopassa Corso Vittorio Emanuele sono ben note e rappresentate da un unicum nel suo genere per motivi geologici, archeologici e di interferenza con le preesistenze storico-monumentali. Oggi siamo arrivati alla scelta del diavolo: o la linea si ferma a Fori Imperiali oppure prosegue come un immenso tunnel senza stazioni. L’utilizzo innovativo di batterie di ascensori a grande capacità e velocità per collegare atrio e banchine permetterebbe la riduzione considerevole delle volumetrie a beneficio dell’impatto superficiale dei cantieri e della netta riduzione delle opere di scavo in sotterraneo.

Scale mobili…. no grazie!

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In base alla nostra analisi, che segue nell’articolo, la limitazione fondamentale dei metodi costruttivi finora studiati, è stato l’utilizzo della scala mobile come sistema di traslazione tra banchina e superficie.
I vincoli imperativi di questo tracciato, infatti, possono essere così riassunti:

  1. massimo contenimento degli scavi a cielo aperto per minimizzare l’impatto archeologico
  2. predilezione, nei limiti del possibile, degli scavi sotterranei meccanizzati (TBM – Tunnel Boring Machine)  rispetto a quelli tradizionali più onerosi e complessi nel controllo dei cedimenti.
  3. tracciato profondo per contenere l’interferenza tra le gallerie di linea e le preesistenze storico-monumentali.

L’utilizzo della scala mobile, soprattutto alle elevate profondità, condiziona le scelte costruttive rendendo necessari ampi pozzi scavati a cielo aperto (in conflitto con il vincolo 1) oppure lunghe gallerie scavate in sotterraneo con metodo tradizionale (in conlitto con il vincolo 2). E’ pure evidente che la scala mobile limita la possibilità di approfondire il tracciato (vincolo 3); da una certo punto in poi il susseguirsi di rampe e la lunghezza complessiva del percorso minano la percezione di accessibilità della stazione rischiando di rendere meno appetibile il sistema di trasporto stesso.

A ben vedere l’utilizzo dell’ascensore, in sostituzione della scala mobile, permette di conciliare tutte e tre le esigenze; potrebbe essere l’unico grimaldello che permetta di contenere i costi e i tempi di realizzazione e cancellare definitivamente le patetiche diatribe sulla realizzazione delle stazioni in centro storico.

La beffa del Modello Roma

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progetto preliminare del 2003

In molti si ricorderanno la soluzione proposta nel progetto preliminare, per ovviare alle tre criticità sopra esposte, nota come Modello Roma. Prevedeva l’utilizzo di gallerie di linea a sezione allargata (10.10 metri invece che 6.7 metri) che permettevano anche di contenere le banchine in prossimità delle stazioni senza la necessità di scavi di allargo tradizionali. L’impatto superficiale era ridotto al minimo con spazi dedicati solo ai pozzi profondi contenenti impianti tecnologici e di ventilazione e alle uscite esterne. Gli impianti mobili e fissi di risalita erano ospitati in gallerie scavate in tradizionale che si diramavano come grandi bracci verso le uscite esterne.

SI trattava però di una soluzione a delle generiche consapevolezze; il Modello Roma non era altro che una idea, una bella idea, sicuramente encomiabile sotto l’aspetto divulgativo, ma totalmente priva dei fondamenti di fattibilità. Questo perchè nessuno aveva i riferimenti specifici per valutare l’impatto di tale modello nè tantomeno per definirne in maniera plausibile tempi e costi.

Tutte le tematiche sono state approfondite solo durante le fasi successive. Era previsto proprio nell’appalto che si costituisse un Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) dedicato.
Ciò che è emerso in diversi anni di lavoro sono dei paletti molto rigidi che hanno sconvolto l’impostazione generale del Modello Roma:

  • cedimenti tollerabili sugli edifici storici solo dello stesso ordine di grandezza dei fenomeni naturali stagionali (variazione temperatura e livelli di falda). Un edificio storico , per il solo fatto di essere tale, viene di fatto paragonato, nell’analisi di vulnerabilità, a una struttura con severe lesioni pre-esistenti e quindi con una risposta pessima al cedimento indotto.
  • il rischio archeologico non è eliminabile a priori al 100%. Lo scavo deve necessariamente anche proseguire durante la realizzazione delle opere di stazione con costi, tempi e logistiche rilevanti.

Una linea senza stazioni

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studio preliminare del dicembre 2014

La necessità di adottare complesse e onerose tecnologie per realizzare i consolidamenti necessari e l’intervenuta negazione ad utilizzare molte delle aree individuate come uscite (Largo Argentina- Via Sora – Piazza Sforza Cesarini – Piazza Paoli) rese praticamente insostenibile ipotizzare le stazioni come punto di snodo di lunghe gallerie di risalita. Da qui la necessità di ubicarle in contesti più ampi tali da accogliere in un unico pozzo discenderie e uscite oltre agli impianti.

Dall’altro lato l’utilizzo delle TBM di grande diametro alle profondità di progetto, alla luce dei vincoli definiti, appariva molto rischioso, esponendo potenzialmente tutti i palazzi di corso vittorio a necessità di interventi di consolidamento e presidio con costi e tempistiche poco definibili.

Queste considerazioni  hanno mandato in frantumi l’impostazione del Modello Roma in favore della tradizionale realizzazione di enormi scatolari volti a contenere le banchine per intero e gallerie di linea di piccolo diametro.
Laddove non è possibile, il ritorno allo scavo in allargo delle gallerie di banchina ha comportato l’adozione di tecniche onerose ed innovative come il congelamento dei terreni e il compensation grouting che fanno schizzare alle stelle il costo della linea.

E’ inutile negarlo: l’abbandono dei principi basilari del  Modello Roma ha comportato come unica soluzione quella di ridurre al minimo, se non di eliminare del tutto, le stazioni del centro storico, divenute così impattanti sul contesto.

Il ‘modello MetroXRoma’

In questo contesto aggiornato ci rendiamo conto delle limitazioni del Modello Roma sotto alcuni aspetti ma della valenza ancora forte dei suoi principi fondamentali: scavi sotterranei principalmente o totalmente meccanizzati e riduzione al minimo dell’impatto in superficie. Dall’altro lato non possiamo negare l’insostenibilità e poca funzionalità del metodo tradizionale.

Per contrastare tutte le problematiche finora elencate il nostro modello si basa su tre aspetti fondamentali:

  1. reintroduzione delle gallerie di grande diametro
  2. utilizzo di ascensori
  3. approfondimento tracciato

1. Le gallerie di grande diametro ci sembrano irrinunciabili per i loro vantaggi in termini di flessibilità di ubicazione delle banchine lungo il tracciato e possibilità di contenere parte degli impianti in prossimità di stazioni e pozzi di ventilazione riducendone gli impatti in superficie.

2. L’utilizzo degli ascensori permette di prevedere pozzi di stazione di grandezza contenuta, nell’ordine dei 25-30 metri di diametro che contengono tutti gli impianti necessari. Un buon compromesso tra la necessità funzionale di concentrare tutto in un unico spazio e quella di contenere l’impatto in superficie. L’impronta del pozzo infatti, anche se maggiore di quella del Modello Roma sarebbe drasticamente minore (più della metà) degli scatolari del modello tradizionale.

3. Con la reintroduzione delle gallerie di grande diametro è indispensabile l’approfondimento del tracciato per renderlo compatibile con le necessità di tutela delle pre-esistenze. E’ evidente che per avere un dato definitivo andrebbero valutati in maniera specialistica i risentimenti in superficie alla luce dei cut-off individuati dal CTS (valori massimi di cedimento, distorsione angolare e deformazione di trazione). In via cautelativa ci riserviamo di ipotizzare un tracciato più profondo di circa il 50% (55 metri in media contro gli attuali 35); empiricamente quei parametri variano in maniera proporzionale alla superficie netta dello scavo con TBM, che, nel passaggio dal piccolo diametro (6,7 m) al grande (10,1 m), è appunto prossima al 50%.

Un approccio differente

l’ascensore, con la possibilità di effettuare spostamenti veloci (anche oltre i 2 m/s contro i 0,5 o 1 m/s delle scale mobili) su un tragitto geometricamente più corto taglia i tempi di collegamento superficie – banchina permettendo di ammortizzare in maniera ottimale il necessario approfondimento del tracciato.

Il modello costruttivo da noi proposto, per le sue caratteristiche, potrebbe potenzialmente salvare tutte le stazioni del centro storico previste nel progetto preliminare. In linea di massima si può tornare a ragionare su Argentina, non essendo più necessario un ampio spazio dove localizzare uno scatolare. Sicuramente si può rivalutare la localizzazione del pozzo in Piazza Sant’Andrea della Valle, ipotizzando anche la valorizzazione dei reperti archeologici prima impensabile per una questione di spazio e di destinazione funzionale degli volumi.

Oppure si pensi alla stazione San Pietro che potrebbe tornare ad avere accessi su entrambe le sponde del Tevere come da indirizzo originario.

“Occorre, quindi, prevedere un approccio concettuale differente per la progettazione che non si sottragga al confronto diretto con le precedenti e più importanti “valenze” della città al fine di non trasformarle in vincoli insuperabili del progetto.” 

Questo recitava uno dei documenti del progetto preliminare del 2002 e questo oggi, più che mai, è ancora valido ed ha ispirato la nostra proposta. Speriamo che anche gli uffici competenti comincino a ragionare in questi termini!

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da MetroxRoma